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Hydor

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L’unica cosa che sapeva era che doveva proteggere qualcosa.

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Aprì il pugno ancora serrato e nel palmo custodiva una pietra rosso spento. Doveva proteggere lei. Hydor.

Naufragio

“Aiuto! Aiuto!” udì gridare in lontananza.

Cosa sta succedendo?

Non vedeva nulla. Era tutto buio. Non riusciva ad aprire gli occhi.

La voce gridò ancora e le si fece sempre più vicina, di certo era quella di una donna. La sentì ancora, ma continuava a non vederla, il suono si faceva ovattato. Tutto si fece pesante su di lei, come se un macigno le stesse schiacciando il petto. La testa come stretta in una morsa. Adesso non riusciva più ad udire la voce, non sentiva più nemmeno il suo corpo. Era stanca e cominciò a lasciarsi andare, ogni forza vitale la stava abbandonando.

Sta gridando aiuto per me! 

In quel torpore che l’avvinghiava e non le permetteva più alcun atto vitale, capì che tutto stava per finire.

D’improvviso, sentì una pressione fisica sul petto. Ripetitiva. Un’altra voce, maschile, giovane: “4- 5….1-2-3-4-5” contava “1-2-3-4-5” ad ogni numero una pressione al petto “Dai forza, forza! 4-5. Sputa fuori, dai!” Oltre al petto adesso sentiva altro. Il suo pugno, stretto attorno a qualcosa di piccolo. Non poteva schiuderlo, non doveva.

“La stiamo perdendo” di nuovo la voce di quella donna.

“No, no” la voce vibrante del ragazzo quasi le dette il coraggio di resistere ancora.

Sentì aprirsi la bocca e aria calda entrò dentro scendendole in gola. Che strana sensazione. Il calore contrastava con il freddo che adesso sentiva percorrerle il corpo. Tutto cominciò a riprendere il suo posto: testa, collo, spalle braccia, mani, petto, ventre e giù in basso… facevano male, non riusciva a muovere un muscolo. Sentì il cuore, batteva debole, ma batteva ancora. Qualcosa al petto e alla gola le dava fastidio. Bruciava. L’aria calda continuava ad entrare e per aprirle il passaggio fino ai polmoni doveva buttar fuori quello che le ostruiva il passaggio. Tossì ripetutamente e sputò via acqua salata che le lasciò un bruciore in petto e in gola. Aria fresca. Respirava. Le voci di prima non erano più preoccupate. Erano esultanti. Dopo averle dato il tempo di espettorare tutta l’acqua di mare ingurgitata, l’aiutarono dolcemente a mettersi seduta, in quella posizione la donna le fece appoggiare la testa sul suo petto per darle sollievo. Il contatto era caldo sulla sua pelle e i suoi capelli freddi e bagnati.

“È tutto finito!” le disse quella voce dolce e femminile “Sei salva!” percepì il sollievo in quell’affermazione.

Aprì finalmente gli occhi. Tre persone stavano attorno a lei. Guardò per prima chi la teneva fra le braccia: una donna un po’ paffutella, dagli occhi dolci e il sorriso gentile. Gli altri due erano due uomini, uno canuto e l’altro giovane e moro. “Come ti senti?” le chiese il ragazzo. Riconobbe la voce che poco prima stava contando. Non riuscì a rispondere, tossì.

“Non pressiamola troppo” disse la donna. “Dovremmo portarla in ospedale”.

“Ho già chiamato l’ambulanza” disse l’uomo più anziano. “Dovremmo segnalare il fatto anche alla polizia. Forse ce ne sono altri come lei in mare. Non mi sorprenderebbe che un altro barcone pieno di gente, forse anche bambini, sia lì da qualche parte” disse rivolgendo lo sguardo verso l’orizzonte del mare. “Con chi eri in mare?” le chiese poi. Un’altra domanda a cui non sapeva rispondere. Guardò i tre stralunata e impaurita.

“Non iniziamo di nuovo con le domande. Poverina, chissà cosa avrà vissuto. Certamente qualcosa di terribile. Un miracolo che sia ancora viva” la simpatica donna la rassicurò strofinando le mani sulle sue braccia come per riscaldarla. La ragazza scoprì di essere avvolta in una manta che copriva il suo corpo completamente nudo. Non ebbe vergogna della sua nudità, ma si sentì strana, qualcosa non andava, aveva l’impressione che quello non era il suo corpo, lo sentiva estraneo. I tre soccorritori discutevano sul da farsi, si chiedevano se era il caso di portarla in casa per darle qualcosa da mettere, prima che l’ambulanza arrivasse.

Nel frattempo, la donna l’aiutò ad alzarsi, ma era come se non avesse le gambe. Non riusciva a reggersi all’impiedi.

“Mamma, falla sdraiare di nuovo, forse ha subito qualche lesione. L’ambulanza non dovrebbe tardare”.

Così si ritrovò nuovamente stesa sulla sabbia.

“Cara, come ti chiami?” la donna provò a chiederle.

La ragazza la guardò stranita. Era una domanda semplice, lo sapeva. Come mi chiamo?

“Mi…mi…”

D’improvviso, la consapevolezza.

Non ho un nome. Non ricordo nulla.

Bagliori

Si sforzò, ma la sua mente era vuota. D’un tratto, ricordò un lampo di luce dorata che la colpì in pieno e poi tutto svanì nuovamente. Riportando alla memoria quel ricordo di un istante si sentì come nuovamente colpita. Si portò la mano libera alla testa e mugugnò di dolore.

“Calmati piccola! Non preoccuparti ce lo dirai dopo” la consolò la donna.

Era passato un quarto d’ora e finalmente si udì la sirena dell’ambulanza. La ragazza ebbe paura di quel suono sconosciuto.

“Non avere paura, stanno venendo per aiutarti” disse il ragazzo.

Lei cominciò a piangere.

Non sapeva chi fosse.

Si sentiva un’estranea nel suo stesso corpo e non sapeva cosa fosse quel mondo dov’era sbarcata, ma d’altronde non sapeva nemmeno da quale mondo lei provenisse.

L’unica cosa che sapeva era che doveva proteggere qualcosa.

Aprì il pugno ancora serrato e nel palmo custodiva una pietra rosso spento. Doveva proteggere lei.

L’ambulanza arrivò e la portarono dalla spiaggia su una portantina dopo averle messo un collare cervicale. La ragazza si ritrovò su quello strano mezzo, distesa, con una donna che la sovrastava e che le mise qualcosa che le tappava la bocca e il naso. Subito sentì aria pura entrarle nei polmoni ancora brucianti. Il paramedico presente sull’ambulanza vedendo gli occhi preoccupati della sua paziente cominciò a rassicurarla. Le disse che una volta in ospedale l’avrebbero sottoposta a degli esami per verificare che stesse bene, ma che non c’era nulla di cui allarmarsi perché a lei sembrava già che stesse meglio, bisognava comunque verificare che i polmoni non fossero danneggiati e…

Mentre il paramedico continuava a parlarle, non solo per rassicurarla, ma anche per mantenerla sveglia, la povera naufraga non capiva realmente nulla di ciò che la donna dicesse. Ospedale? Esami? Respiratore? Non conosceva nulla di tutto ciò. Guardava le luci sopra di lei che quasi l’accecavano. Iniziò ad entrare nel panico, sentiva il respiratore stringersi sempre di più come se volesse soffocarla e si ritrovò nel blu più profondo affannata da una nuotata senza precedenti, fuggiva da qualcosa o da qualcuno che la stava inseguendo. Non poteva fermarsi, era vicino, troppo, l’aveva quasi raggiunta. Una voce familiare in lontananza gridò disperatamente qualcosa, un nome… “Alyssaaaaaaa…” si voltò qualcosa riluceva a livello delle sue gambe e di nuovo un bagliore dorato la colpì.

Si alzò di scatto dalla portantina e tentò di liberarsi dalla mascherina che le copriva parte del viso per poter respirare di nuovo. Il paramedico la bloccò e cercò di farla distendere nuovamente. La ragazza respirava affannosamente e farfugliava qualcosa, allora si decise a toglierle il respiratore per capire che stesse dicendo.

“A..A…Aly…Alyss…Alyssa” respirò profondamente “Credo sia il mio nome” riuscì a dire e si sentì più serena.

Non sapeva ancora che fosse, ma almeno ricordava il suo nome.

“Bene! Benissimo! La memoria tornerà poco a poco, è già un buon inizio. Adesso però torna a distenderti e respira lentamente. Stiamo per arrivare”.

Alyssa eseguì le indicazioni del paramedico senza dire nient’altro.

Una volta arrivati al pronto soccorso le fecero tutti gli accertamenti del caso e risultò che non aveva subito particolari traumi fisici a parte la perdita della memoria, si sarebbe rimessa del tutto dopo aver ben riposato. Non seppero dirle se e quando la memoria sarebbe tornata, c’era da pazientare. Purtroppo, non avendo nessuna informazione su di lei, non potevano contattare nessun famigliare e dovettero chiamare la polizia per segnalare il suo caso. I poliziotti le fecero qualche domanda per mettere a verbale l’avvenuto, ma lei non seppe rispondere. L’unica cosa che diceva era : “Dov’è la mia pietra? Ridatemela, per favore”. Gli agenti non sapevano assolutamente di cosa stesse parlando. Chiamarono un infermiere e quello rispose che era una pietra rossa dalla forma un po’ particolare che teneva stretta quando era arrivata. Avevano dovuto strappargliela di mano per poterle fare gli accertamenti.

“Ridammela ti prego” Lo scongiurò Alyssa.

L’unica cosa di cui era sicura era che non doveva assolutamente separarsi da quella pietra. Non sapeva perché, ma lo sentiva. Era importante.

L’infermiere titubante disse: “Credo l’abbiano gettata via!”

Alyssa saltò giù dal lettino e si avvicinò all’infermiere gridando: “Come buttata? Non ne avevate nessun diritto è mia, la devo proteggere!”

I poliziotti la trattennero credendo che stesse per attaccare il pover’uomo. Increduli e sconvolti da quell’insolita richiesta. Ma Alyssa non attaccò l’infermiere si accasciò a terra piangendo come se avesse appreso la notizia del decesso di un suo caro.

Vedendola in quello stato, l’infermiere le promise che avrebbe fatto il possibile per recuperarla e andò via basito.

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